“Tuttti a tavola”, festa nel giardino di Dio!

Racconto – filo conduttore dell’oratorio estivo 2015

21 maggio 2015:
I nostri amici della “quercia” , erano in fibrillazione. Ormai cresciuti, quest’anno sarebbero entrati nel gruppo degli “animatori”!
Si sono ritrovati proprio sotto quella grande quercia (in realtà è un pioppo secolare. E’ tempo di ammetterlo!) E stavano pensando all’oratorio estivo.

Bisogna premettere che in quel periodo non si parlava che di “Expo 2015” e tutti ne erano un po’ condizionati.

Cominciò Emma: “Potremmo immaginare uno stand per l’Expo, con l’illustrazione di tutte le nostre storie degli anni passati. In fondo, il giardino, il corpo, la casa hanno a che fare con il cibo…”

Giancarla: “Ho un po’ paura dell’Expo; mi sembra una “fiera” di oggetti e alimenti, l’occasione di fare qualche foto strana, di aggiungere nei ristoranti qualche “sfiziosità nuova”, “etnica”; insomma roba che non c’entra con l’oratorio estivo. Preferirei un altro tema.”

Antonio: “No, non è giusto, non possiamo estraniarci da un’occasione così preziosa; perché non fare una storia del cibo…?”

Roberta:” E il filo conduttore che unisce tutte le nostre storie dove va a finire?”

Responsabile: “Ragazzi è tardi. Dormiamoci sopra e riprendiamo domani.”

Il giorno dopo…:
Elisabetta: “Tornata a casa ieri sera, ho ripreso tra le mani le nostre storie, ma già all’inizio della prima, quella dei giardini, mi sono addormentata.

Ho fatto un sogno. Mi sono ritrovata con tutti voi, neanche a dirlo, in un giardino meraviglioso, questa volta onestamente molto più bello del nostro oratorio, una frescura… Passeggiando ho udito delle voci che cantavano allegramente, ma senza essere sguaiati; mi sono avvicinata, c’era una grande tavolata; ho riconosciuto S. Pietro che cominciava a sparecchiare la tavola, aiutato da tutti gli altri apostoli. Mi sono avvicinata, Giovanni per primo mi ha visto; mi ha salutato; mi ha chiesto se avevo fame. Giacomo era già pronto a ritornare ai fornelli. No grazie, risposi. Ero già sazia di quelle meraviglie che stavo contemplando. Senza chiedermi altro, Giovanni indovinò che cosa stavo cercando.

Il cibo e il giardino.
Il cibo è il segno della cura di Dio nei nostri confronti

Aprì un libro meraviglioso… E cominciò a leggere

“il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. 9Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. 16Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”. (gen 2)
Commentò:

“Sin dalla creazione, Dio ha voluto manifestare la sua cura per gli uomini
pensando ad un cibo per loro;
da subito ha chiesto loro che questo cibo divenisse un “segno”
di gratitudine nei suoi confronti e di attenzione al fratello.

Da sempre però c’è una tentazione nell’uomo
– continuò Andrea che nel frattempo si era avvicinato –
impossessarsi del cibo , dimenticare i fratelli,
sembra il modo per acquistare sapienza e forza,
per diventare come Dio,
e invece costruisce morte.

Giovanni aprì un’altra pagina del meraviglioso libro e lesse, o forse pregò:

3Voglio proclamare il nome del Signore:
magnificate il nostro Dio!
4Egli è la Roccia: perfette le sue opere,
è un Dio fedele e senza malizia,
egli è giusto e retto…
Porzione del Signore è il suo popolo,
10Egli lo trovò in una terra deserta,
Lo circondò, lo allevò,
lo custodì come la pupilla del suo occhio.
11Come un’aquila che veglia la sua nidiata,
che vola sopra i suoi nati,
egli spiegò le ali e lo prese,
lo sollevò sulle sue ali.
12Il Signore, lui solo lo ha guidato,
e lo ha nutrito con i prodotti della campagna;
gli fece succhiare miele dalla rupe
e olio dalla roccia durissima,
14panna di mucca e latte di pecora; grasso di agnelli,

Andrea:

Questa cura Dio la manifesta continuamente,
insegnando ai suoi amici a fare altrettanto.

Il cibo e la Trinità”
ospitalità, accoglienza, incontro

Poi, si soffermò ad osservare la catenina che Vittoria portava al collo con appesa una piccola riproduzione della trinità di Rubliev.
Continuò:
Per esempio , un giorno si presentarono ad Abramo, tre uomini.

Abramo, pur affaticato per il lavoro e deluso perché le promesse di avere un figlio tardavano a compiersi, li accolse con grande senso di ospitalità; li fece sedere, lui stesso prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato per la sua famiglia, e li porse loro.

Quale non fu la sua gioia quando capì che era venuto a trovarlo Dio stesso, per rinnovargli la promessa: “tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio”. Lo chiamarono Isacco, figlio del sorriso.

E’ tanto bello questo quadro di ospitalità, riconoscenza, incontro
che è diventato l’immagine stessa di Dio, della Trinità

Il cibo: forza di Dio per il nostro cammino

Giovanni:. “Voglio raccontarvi anche la storia di Elia, il più grande dei nostri profeti, sempre pieno di zelo (voi dite” grinta”) nei riguardi del Signore.

Un giorno non ce la faceva più; sembrava che quanto più si impegnava ad indicare la strada giusta, tanto più il popolo prendeva gusto a perseguitarlo. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita,”. Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia!”. 6Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia e un orcio d’acqua. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino all’Oreb il monte di Dio, già caro a Mosè.

Riprese con coraggio il suo ministero;
qualche tempo dopo toccò a lui ridare forza ad una donna povera, vedova, straniera.

Andrea: Elia, conosceva una povera  vedova di Zarepta; quando gli capitava di passare di là, si fermava a salutarla e lei, come Abramo si mostrava sempre ospitale.

Quella volta, stanco e accaldato, chiese un bicchiere d’acqua e un pezzo di pane per sfamarsi. La donna gli rispose: “Caro Elia, questa volta sono proprio in difficoltà; mi è rimasto solo un pugno di farina e un goccio d’olio; ne farò una focaccia, ne mangerò con mio figlio; e poi non ci resterà che morire…
Ma cosa potrei mai fare per te?”

“Non temere, – continuò Elia – il Signore si ricorda del bene che mi hai sempre fatto:
Prepara quel poco che hai; Il Signore non ti farà mancare mai né olio né farina. E così fu.

Il cibo, lo spreco
e i problemi dell’umanità

Pietro, che fino a quel momento sembrava occupato in altro, e invece stava sbirciando, non potè resistere e si avvicinò: “Cari ragazzi,

nel cibo c’è tutta la tenerezza di Dio
che ha solo bisogno di incontrare ospitalità per moltiplicarsi e abbondare.

Purtroppo il cibo si può sciupare e non soltanto gettandolo nella spazzatura…

Ricordate la storia di Caino e del fratello Abele?
Abele cura il suo gregge e si ricorda di ringraziare il Signore.

Caino, grande lavoratore, si lascia invece trascinare dalla tentazione: trasformare, accumulare, pretendere riconoscimenti. Ma questa non è vita; se non godi il cibo come un dono ricevuto, tutto si fa veleno e odio.
Una storia, ohimè che continua a ripetersi!

Il cibo usato con sobrietà, mangiato nel segno della fratellanza, dura sempre;
basta per ogni uomo si fa segno di sapienza.

Il cibo accumulato con avidità, consumato nell’egoismo,
non basta mai, per nessuno;
diventa segno di stoltezza:
un miliardo e mezzo di uomini si ammala perché troppo grasso;
quasi un miliardo di uomini si ammala e muore per denutrizione

Spreco o sovrabbondanza?
il cibo di Gesù

Andrea: “Mio fratello Pietro è sempre un po’ focoso, ma quanto dice è davvero importante; da parte mia vorrei ridirvi le stesse cose, raccontandovi di quel giorno in cui Gesù ci sbalordì con la moltiplicazione dei pani.

La morte dell’amico Giovanni Battista aveva reso Gesù ancora più sensibile ai bisogni della folla che ci assillava. Predicava a lungo per questo e il tempo scorreva senza che né noi né la folla ci accorgessimo che avanzava la sera.

Fu Tommaso, se ben ricordo ad avvedersi che si faceva tardi e ad invitare il maestro a sospendere, perché la gente potesse tornare alle proprie case.
Gesù rispose con decisione: “Date voi stessi da mangiare!”

Abbiamo capito subito che voleva coinvolgere anche noi in questa cura delicata del suo popolo; ma non c’era sfuggito neppure che parlava di un “mangiare concreto”.

Gli dissi: “Gesù, c’è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci! …Intendevo dirgli: “Abbiamo capito cosa ci chiedi ma cosa possiamo fare; quello che abbiamo è tutto qui!”

Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede a noi perché li distribuissimo alla gente.
Ne mangiarono tutti (più di 5000 persone!) E ne avanzarono 12 ceste.

Giovanni:

Ecco il pane di Gesù: segno della sua cura; dato tutti.

Quando nell’ultima cena ci donò l’eucarestia, ripensammo a questo episodio e capimmo:
quel pane benedetto, spezzato, dato a noi e alle moltitudini era il suo amore, il suo corpo.

Andrea:

“Al momento quelle 12 ceste di pane avanzato mi parve uno “spreco”; un giorno capii: è la “sovrabbondanza” dell’amore che è data ad ogni generazione.

Non è fatta solo del “necessario” per vivere,
ma contiene una “sovrabbondanza di cura” per il fratello
e la bellezza “gratuita”del sua presenza
.

Il cibo, la casa e la festa
(apocalisse 21)

Sopraggiunsero Giacomo e Tommaso.
Giacomo si rivolse a Giovanni e Andrea: “Se continuate così si fa sera anche stavolta;
basta parole! Apparecchiamo, facciamo festa!” (lc 15). “Tutti a tavola!”

Abbiamo apprezzato la cura con cui venne preparata la tavola;
abbiamo gustato le squisite porzioni offerte con misura;
abbiamo goduto la smisurata gioia della grande Festa.

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