Storia di due parole: hesed, rahamim

Note di Giovanni Paolo II ai nn. 5-6 dell’Enciclica “Dives in misericordia”

Giovanni Paolo II , 30 ottobre 1980

Nel definire la misericordia, i Libri dell’Antico Testamento adoperano soprattutto due espressioni, ciascuna delle quali- ha una sfumatura diversa.

hesed
primo significato: rapporto di bontà che si trasforma in fedeltà
Anzitutto, c’è il termine hesed, che indica un profondo atteggiamento di « bontà ».
Quando esso si instaura tra due uomini, questi sono non soltanto benevoli l’uno verso l’altro, ma al tempo stesso reciprocamente fedeli in forza di un impegno interiore, quindi anche in forza di una fedeltà verso se stessi.
Se, poi, hesed significa anche « grazia » o « amore », ciò è appunto in base a tale fedeltà.
Il fatto che l’impegno in questione abbia un carattere non soltanto morale, ma quasi giuridico, non cambia nulla.

Secondo significato: questa fedeltà si fa giustizia (anche in senso legale
Nell’Antico Testamento il vocabolo hesed viene riferito al Signore,
e ciò accade sempre in rapporto all’alleanza, che Dio ha concluso con Israele.
Tale alleanza fu un dono e una grazia per Israele.
Tuttavia, poiché in coerenza con l’alleanza conclusa Dio si era impegnato a rispettarla,
hesed acquista un contenuto legale.

L’impegno giuridico da parte di Dio cessava di obbligare, quando Israele infrangeva l’alleanza e non ne rispettava le condizioni.

terzo significato: l’infedeltà del popolo spinge di nuovo questo vocabolo ad indicare amore-bontà (misericordia)
Ma proprio allora hesed, cessando di essere obbligo giuridico, svelava il suo aspetto più profondo: si manifestava ciò che era al principio, cioè come amore che dona, amore più potente del tradimento, grazia più forte del peccato.

Questa fedeltà nei confronti della « figlia del mio popolo » infedele (cfr. Lam 4, 3.6) è, in definitiva, da parte di Dio, fedeltà a se stesso. Ciò risulta evidente soprattutto nella frequente ricorrenza del binomio hesed – we’emet (= grazia e fedeltà), che potrebbe ritenersi un’endiadi
Qualche esempio.

Es 34, 6. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà,
(Ez 36, 22). « Io agisco non per riguardo a voi, gente di Israele, ma per amore del mio nome santo »
Sal 25. Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
sal 85: Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
sal 118: Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
michea 7: Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà,
ad Abramo il tuo amore,
come hai giurato ai nostri padri
fin dai tempi antichi.

Quindi anche Israele, sebbene gravato di colpe per aver infranto l’alleanza, non può avanzare pretesa alla hesed di Dio in base ad una giustizia (legale); eppure, esso può e deve continuare a sperare e ad aver fiducia di ottenerla, essendo il Dio dell’alleanza realmente « responsabile del suo amore ». Frutto di tale amore sono il perdono, la ricostituzione nella grazia e il ristabilimento dell’alleanza interiore.

Rahamim
Il secondo vocabolo, che nella terminologia dell’Antico Testamento serve a definire la misericordia, è rahamim. Esso ha una sfumatura diversa dal termine hesed.
Mentre questo pone in evidenza i caratteri della fedeltà verso se stesso e della « responsabilità del proprio amore » (che sono caratteri in certo senso maschili), rahamim, già nella sua radice, denota l’amore della madre (rehem = grembo materno).
Dal più profondo e originario vincolo, anzi dall’unità che lega la madre al bambino, scaturisce un particolare rapporto con lui, un particolare amore. Di questo amore si può dire che è totalmente gratuito, non frutto di merito, e che sotto questo aspetto costituisce una necessità interiore: è un’esigenza del cuore. una variante quasi « femminile » della fedeltà maschile a se stesso, espressa dalla hesed.
Su questo sfondo psicologico, rahamim genera una gamma di sentimenti, tra i quali la bontà e la tenerezza, la pazienza e la comprensione, cioè la prontezza a perdonare.

L’Antico Testamento attribuisce al Signore appunto tali caratteri, quando parla di lui servendosi del termine rahamim.

Leggiamo in Isaia:
« Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai » (Is 49, 15).

Questo amore, fedele e invincibile grazie alla misteriosa forza della maternità, viene espresso nei testi vetero-testamentari in vari modi: sia come salvezza dai pericoli, specialmente dai nemici, sia anche come perdono dei peccati – nei riguardi degli individui e anche di tutto Israele — e, infine, nella prontezza ad adempiere la promessa e la speranza (escatologiche), nonostante l’infedeltà umana, come leggiamo in Osea:

« Io li guarirò dalla, loro infedeltà, li amerò di vero cuore » (Os 14, 5).

Nella terminologia dell’Antico Testamento troviamo ancora altre espressioni, diversamente riferite allo stesso contenuto fondamentale. Tuttavia, le due suddette meritano un’attenzione particolare. In esse si manifesta chiaramente il loro originario aspetto antropomorfico: nel prospettare la misericordia divina, gli autori biblici si servono dei termini che corrispondono alla coscienza ed all’esperienza dell’uomo loro contemporaneo. La terminologia greca della versione dei Settanta mostra una ricchezza minore di quella ebraica: non offre, quindi, tutte le sfumature semantiche proprie del testo originale.

In ogni caso, il Nuovo Testamento costruisce sulla ricchezza e profondità, che già contrassegnava l’Antico.
In tal modo, ereditiamo dall’Antico Testamento — quasi in una sintesi speciale — non soltanto la ricchezza delle espressioni usate da quei Libri per definire la misericordia divina, ma anche una specifica, ovviamente antropomorfica « psicologia » di Dio: la trepidante immagine del suo amore, che a contatto con il male e, in particolare. con il peccato dell’uomo e del popolo, si manifesta come misericordia.

Altri termini: hanan, hamal, ‘emet
Tale immagine è composta, oltre che dal contenuto piuttosto generale del verbo hanan, anche dal contenuto di hesed e da quello di rahamim.
Il termine hanan esprime un concetto più ampio; esso significa, infatti, la manifestazione della grazia, che comporta, per così dire, una costante predisposizione magnanima, benevola e clemente.

Oltre a questi fondamentali elementi semantici, il concetto di misericordia nell’Antico Testamento è composto anche da ciò che racchiude il verbo hamal, che letteralmente significa « risparmiare (il nemico sconfitto) », ma anche «manifestare pietà e compassione» e, di conseguenza,
perdono e remissione della colpa.

Questi termini appaiono nei testi biblici più raramente per denotare la misericordia. Inoltre, occorre rilevare il già ricordato vocabolo ‘emet, che significa in primo luogo « solidità, sicurezza » (nel greco dei Settanta. « verità ») e poi « fedeltà », ed in tal modo sembra collegarsi con il contenuto semantico proprio del termine hesed.

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