La parabola della porta

Racconto
per dire la belllezza della “Parola” vissuta dal popolo

Nel paese c’era una casa. Era molto antica e ben costruita. La porta era bella, larga e si apriva sulla strada, dove passava la gente. Era una porta strana. La soglia confondeva la strada con la casa, tanto che chi entrava aveva l’impressione di stare ancora fuori.

A chiunque passasse per quella strada sembrava di entrare e di essere accolto in quella casa. Mai nessuno si era preoccupato di questo fatto, naturale come la luce quando il sole brilla in cielo.

La casa faceva parte della vita del popolo, grazie a quella porta che univa la casa al paese e la gente del paese alla casa. Era come il crocicchio dove si svolge la vita, dove ci si ferma a discutere e la gente si incontra. Quella porta restava sempre aperta, giorno e notte.

La soglia era consumata dall’uso. Tanta gente, anzi tutti, passavano di lì.

* * *

Un bel giorno ci arrivarono due studiosi. Venivano da lontano. Erano stranieri. Non conoscevano la casa. Avevano sentito dire che era antica e bella. Erano professoroni che si intendevano di cose ,antiche. Appena videro la casa la giudicarono di grande valore.

Cercarono la porta e ne trovarono una laterale. Di lì cominciarono ad entrare ed uscire per ragioni di studio.

Non volevano che il rumore li disturbasse; il rumore che faceva il popolo sulla porta della strada. Volevano starsene in pace per riflettere. Se ne stavano dentro casa, lontani dalla porta del popolo, in un angolo buio, tutti assorti a studiare il passato di quella casa.

Il popolo, entrando nella sua casa, vedeva quei due con i loro libroni e con le loro macchine complicate. Vicino a loro la povera gente ammutoliva. Se ne stava zitta per non disturbarli.’ Li ammirava tanto e diceva: «Stanno studiando la bellezza e la storia di casa nostra. Sono scienziati!».

Gli studi progredivano. I due scoprivano cose che il popolo ignorava (anche se tutti i giorni le vedeva nella sua casa). Ottennero il permesso di entrare in questa casa per conversare, incontrarsi, danzare e giocare, parlare e cantare?». E non trovava risposta ai suoi interrogativi.

* * *

L’altro studioso non aveva notato niente di tutto ciò, assorto com’era nei suoi studi .sul passato. Anzi rimproverava il suo collega dicendo: «Ma tu ti distrai troppo!». Voleva che si applicasse di più allo studio del passato e si curasse meno del popolo della strada.

Alla fine, poi, chi comandava la spedizione era lui!

* * *

Un bel giorno un poverello, senza casa né tetto, si rifugiò tra i cespugli che crescevano al margine della strada, in cerca di riparo. Tutt’a un tratto si accorse che c’era una fenditura, come una porta, e vi entrò. Davanti a lui apparve una «casa enorme. Una casa così accogliente che si sentì subito a suo agio. Gli sembrava di stare per la trada e intanto stava al riparo.

Il giorno dopo ci tornò. Ci tornò sempre. Lo raccontò agli amici, poveri come lui. Confidava loro la scoperta come fosse un segreto. Altri poveri andarono con lui. Entrarono tutti, in fila indiana, attraverso la stretta fenditura della porta che dava sulla strada, quella porta che un giorno il vento aveva sbatacchiato senza chiudere del tutto.

Quell’andirivieni di entrare e uscire per la porta della strada fece seccare l’erba calpestata. Per terra si formò un sentiero stretto, battuto. Si aprì un nuovo cammino.

* * *

Erano così numerosi oramai gli amici che volevano entrare che un giorno dettero una spallata alla porta e quella cedette. L’entrata diventò un po’ più larga di prima, e il popolo e la luce inondarono la casa. La casa si illuminò tutta, diventò anche più bella. Ci si stava anche meglio. Il popolo ne era felice.

La scoperta corse di bocca in bocca e tutti i poveri ne parlavano. Ma il segreto se lo tenevano per sé. Riguardava solo la gente umile. «Quella casa è nostra» andavano dicendo. La cosa non poteva tuttavia restare nascosta. L’avrebbe potuto supporre solo il popolo ingenuo e semplice che riflette poco e non ha malizia.

Ogni mattina, quando l’orologio scoccava l’ora di apertura della porta laterale per ricevere gli illustri visitatori, gli spazzini trovavano là dentro i segni della presenza dei poveri. Si udivano perfino le loro risatone e i loro discorsi; discorsi di gente contenta, realizzata, che non si interessava né delle pitture né dell’arte, e che per entrare non pagava niente; risatone di gente che si sentiva bene in casa sua, in quella casa che ricominciava ad essere la «casa del popolo».

* * *

La notizia arrivò all’orecchio dei due studiosi. Uno di loro si adirò, l’altro tacque. Il primo gridò: «Ma quando mai si è vista tanta

ignoranza! Finiranno col profanare e rovinare la nostra casa! Dove va a finire tutto il nostro lavoro? Lo studio di tanti anni andrà dunque perduto?». Parlava come se il padrone della casa fosse lui!… L’altro rimbeccò: «La casa non è tua»! I due litigarono a causa del popolo.

* * *

Una notte, il secondo studioso si nascose in un angolo della casa. Vide il popolo che entrava senza domandare il permesso a nessuno e si metteva a parlare, a danzare, a giocare e tutti si sentivano a loro agio e si incontravano tra loro. Gli fece tanto piacere la loro allegria che si scordò delle ricchezze. Si entusiasmò tanto che entrò anche lui nel circolo dei poveri e si mise a danzare con loro. Danzò, giocò, conversò tutta la notte. Quanto tempo era che non faceva più simili cose! Mai si era sentito cosi felice di vivere!

Per lui, poi, la gioia era ancora maggiore, perché lui sapeva qual fosse il valore e la bellezza della casa. Aveva scoperto solo allora che tutto quello che lui aveva studiato era nato dal popolo, ed era nato affinché il popolo sentisse la gioia di vivere. Si accorse che erano queste le risposte alle domande che si era posto prima. Lo sbaglio stava nella porta laterale che aveva sviato il popolo dalla porta della strada, separando la strada dalla casa e la casa dalla strada; quella porta aveva reso la casa più scura, più triste, sconosciuta al popolo; aveva reso la strada un vicolo cieco, deserto e triste.

Anche lui, adesso, entrava dalla porta della strada. E così continuò a fare tutte le notti. Il popolo lo accoglieva e già incominciava a conoscerlo, perché il popolo non fa distinzione di persona tra quelli che si uniscono a lui. Anche lui era uno del popolo. Ogni volta che entrava dalla porta della strada, vedeva la ricchezza e la bellezza della casa sotto una luce che non aveva mai conosciuto fino ad allora; quella che veniva dalla strada. La gioia del popolo, la bellezza e la ricchezza della casa gli rivelavano quello che i libri non gli avevano insegnato mai.

Era come quando, sul finir del giorno, il sole che ,tramonta improvvisamente lancia i suoi raggi gratuiti, rosso-d’oro sul dorso maestoso di una montagna, bagnandola di luce smagliante. Tutto era cambiato per lui, anche se tutto continuava come prima. Niente era cambiato. Ma da quel giorno studiava i suoi libri con occhi nuovi e vi scopriva cose che il suo collega non si sognava neppure.

Stava in mezzo al popolo, partecipava alla sua allegria, via via che gli se ne offriva l’opportunità. Parlava col popolo delle ricchezze della casa, viste alla luce che veniva dalla strada e dalla gioia del popolo. La sua voce non Sera pesante e non umiliava nessuno. Non faceva azzittire la gente col peso della scienza e del sapere. Educava il popolo, tra la gioia di tutti e faceva crescere in tutti il gusto di vivere.

Era l’anno 1972.

Che cosa speriamo per il futuro:

… che si riscopra la porta della strada, abbattendo le erbacce che l’hanno sepolta, che se ne spalanchino i battenti, che si restituisca al popolo la gioia perduta, che si restituisca al popolo quello che era suo.

… che torni a cambiare l’aspetto della strada, che la porta spalancata le restituisca la bellezza di un tempo, che la luce della strada ritorni ad invadere la Casa del Popolo perché riappaia la sua autentica bellezza, e svanisca ogni colore artificiale.

… che si chiuda la porta laterale, non perché sia cattiva, ma perché tutti, studiosi e visitatori, popolo sofferente e sapiente, tutti insieme, possano gustare la vera gioia di una casa, che è casa di tutti.

… che si entri di nuovo dalla strada, che gli studiosi passino da questa entrata, insieme al popolo, mescolati col popolo, affinché la conoscenza delle ricchezze della casa non allontani il popolo, e gli alunni educati alla scuola dei dottori non si dimentichino di appartenere al popolo e sappiano restituire al popolo la vita e la gioia che hanno ricevuto da lui.

… che si facciano pure studi più profondi sulla bellezza e sulla ricchezza della casa del popolo, ma che si facciano alla luce che viene dalla strada e dalla gioia del popolo, in modo che contribuiscano ad aumentare ancora di più l’allegria che nasce dalla vita di oggi, dalla vita che il popolo vive, dalla vita di ieri, studiata dagli scienziati, dalla vita di domani che tutti speriamo.

Ci resta un solo problema: lo studioso che si è arrabbiato col popolo e che si crede il padrone della casa. Il collega che è entrato a far parte dell’allegria del popolo si è impegnato ad andarci a parlare per dirgli: «… senza il popolo, tu non saresti nato…».

Questa è la parabola della porta che racconta la storia del libro, facendo vedere come è nato e dove sono le sue fonti di informazione. È nato di notte, tra la gioia del popolo.

È nato di giorno, sulla strada triste e deserta.

È nato di notte e di giorno, insieme ai libri e alle macchine complicate, nell’angolo oscuro della casa del popolo.

Fra’ Carlos Mesters

Belo Horizonte, 7 marzo 1972 Festa di San Tommaso D’Aquino

 

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